Intervista a Pasquale Stanzione- Presidente del Garante per la protezione dei dati personali

Il Garante: “privacy non prerogativa per ricchi, ma presidio di democrazia”
Intervista a Pasquale Stanzione, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali

(Di Egidio Lorito, Panorama, 18 settembre 2020)

La privacy permea la vita quotidiana di tutti, non solo delle persone note al pubblico o di quelle comuni, quanto soprattutto persone meno protette, cui dedicheremo massima attenzione”. Il neo Garante per la protezione dei dati personali, Pasquale Stanzione, uno dei massimi studiosi italiani di diritto privato, è chiamato a entrare nel merito di delicate questioni che spaziano dalla riservatezza sui dati personali e sensibili, alla libertà dell’informazione e della comunicazione. Senza dimenticare l’accesso all’universo telematico e il riconoscimento dei nuovissimi diritti che vengono a situarsi sul crinale complesso e spesso inquietante del tema a tutti più caro: quello della libertà. Professore emerito di Istituzioni di diritto privato all’Università degli Studi di Salerno, ha iniziato giovanissimo la carriera universitaria a Camerino, arricchendo il suo percorso con numerose esperienze a Parigi, Barcellona, Madrid, New York e in Germania. Oggi è professore straordinario di Diritto privato presso la Link Campus University di Roma. Panorama.it lo ha incontrato, toccando con mano i prossimi scenari della disciplina.

Professor Stanzione, è stato nominato garante della privacy: presiederà il Collegio chiamato a occuparsi di temi fondamentali per la vita di tutti i cittadini.
“L’Autorità è un’istituzione sempre più centrale nella società: spazio di garanzia di un irrinunciabile diritto fondamentale ma, allo stesso tempo, presidio di democrazia e di un governo sostenibile del digitale”.

Storicizziamo partendo proprio dalle radici: quando inizia la lunga vicenda della privacy come diritto contemporaneo?
“Questa straordinaria “costellazione di diritti” ha molte radici: il “right tobe let alone” dei giuristi statunitensi Samuel Warren e Louis Brandeis del 1890, la “constitutional privacy” delle pronunce americane degli anni Sessanta, quale libertà su essenziali scelte esistenziali, l’autodeterminazione informativa della sentenza costituzionale tedesca del 1983, la”protezione dati” vera e propria, nella sua evoluzione, dalla Convenzione 108/1981 del Consiglio d’Europa, alla direttiva 95/46, fino al Garante della protezione dei dati personali”.

Viste le origini, non le sembra che questo diritto sia stato, più che altro, appannaggio esclusivo della borghesia?
“No. L’emancipazione della privacy dalla dimensione originaria, in favore del “codice dell’eguaglianza”, avviene in Italia sin dagli anni Settanta, con le garanzie sancite dallo Statuto a tutela della libertà dei lavoratori “.

A proposito, la privacy, come nuovo diritto, giunge nel nostro Paese nel 1970…
“Giunge appunto con lo Statuto dei lavoratori, con una priorità che non è solo cronologica ma anche valoriale: l’immunità da ingerenze esterne, tradizionale presidio delle persone note, si afferma da noi come garanzia di libertà, eguaglianza, pari dignità sociale dei lavoratori, parti deboli di un rapporto strutturalmente asimmetrico”.

Utilizziamo le classiche categorie storico-politiche: la privacy vista da “destra” e da “sinistra”.
“Credo che le declinazioni più o meno politiche (o politiciste) debbano cedere il passo alla constatazione della straordinaria poliedricità di questo diritto, capace di coniugare libertà, eguaglianza, dignità. Ciascuno potrà, poi, secondo le proprie sensibilità, mettere l’accento più su uno o sull’altro aspetto, la cui sinergia determina l’innovatività di un diritto “inquieto””.

Al di là del dato prettamente giuridico, la gente comune come continua a vedere la privacy nella vita quotidiana?
“La privacy permea, come un’esigenza fortissima, la vita quotidiana di tutti: dalla difesa rispetto all’aggressività del mercato espressa dal telemarketing selvaggio alla protezione dei riders dal caporalato digitale; dalla tutela dei ragazzi dal cyberbullismo al diritto all’oblio”.

L’opinione pubblica ha spesso l’impressione che la tutela della privacy riguardi, sostanzialmente, la gente ricca e famosa…
“Impressione più che legittima, considerata anche l’immagine pubblica certamente più forte di una certa fascia sociale della popolazione, quella ricca e famosa cui si accenna. Il nuovo Garante ha intenzione di promuovere una vera “cultura della privacy”, a livello popolare, diretta a far comprendere il concetto, l’idea, la filosofia sottesa alla disciplina, soprattutto nei confronti delle categorie meno protette, minori, anziani, disagiati…”

Cioè, il Garante come pedagogista della privacy?
“In un certo senso! È questa la linea evolutiva che vorremmo imprimere, in considerazione del fatto che sia in corso un vero e proprio processo di reificazione del dato personale, un’allarmante monetizzazione della persona e della sua dignità, un’obsoleta mercificazione dei dati sensibili. Occorre invertire la rotta verso una visione, appunto, “personalistica” del concetto di cui stiamo discutendo. La “pedagogia della privacy” sarà indispensabile”.

E nella pratica?
“In caso di necessità, il cittadino potrà rivolgersi al Garante attraverso la procedura dell’accesso civico generalizzato: recepita una problematica, il Garante aprirà un’istruttoria che vaglierà tutte le situazioni in cui il suo “profilo sensibile” possa essere effettivamente stato violato, e se del caso, si procederà anche con l’irrogazione di sanzioni. Facendo cessare l’abuso denunciato, ovviamente”.

Oggi può valere la definizione di privacy come “diritto alla protezione dei dati personali”?
“Delle varie “anime” della privacy, quella espressa dal diritto alla protezione dati è senz’altro la più rilevante, in quanto capace di garantire un governo antropocentrico della tecnica, cui offrire un orizzonte di senso, non certo soggiacere”.

Da una ventina d’anni abbiamo a che fare con Internet…
“Internet ha rappresentato una delle più significative rivoluzioni dell’antropologia umana, annullando – come poi la pandemia avrebbe dimostrato plasticamente – le distanze fisiche, i limiti spazio-temporali e scardinando così le coordinate tradizionali entro cui si sviluppavano l’uomo e, con essa, la società”.

Il tema della privacy si lega indissolubilmente a quello dell’informazione e della comunicazione.
“La privacy, come rispetto della persona e della sua dignità, è la condizione necessaria di un’informazione che, per essere veramente indipendente e libera, deve essere anche responsabile e, come tale, attenta al valore della persona”.

La storia recente ci ha messo di fronte a eventi centrali della nostra vita quotidiana: la pandemia da Covid-19 non è che l’ultimo esempio…
“La pandemia ci ha dimostrato, ancora una volta, l’ambivalenza della tecnica: straordinaria risorsa capace di impedire che il distanziamento “fisico”divenisse “sociale”, ma anche fonte di rischi individuali e collettivi se non ben governata”.

Non le pare che si stia virando su un concetto di “privacy collettiva”?
“Le tecniche di profilazione si sono talmente affinate da prescindere, in molti casi, dall’identificazione del singolo, per costruire cluster, gruppi di “soggetti digitali” accomunati da determinate caratteristiche, non di rado appartenenti alle minoranze più fragili. La “group privacy”, in questo senso, rappresenta un potente strumento di contrasto delle discriminazioni, vecchie e nuove”.

Ha parlato di minori, disabili, anziani come obiettivi primari del Garante?
“La tutela accordata dal Garante è “universalistica”, ma non certo indifferente alle esigenze di protezione rafforzata dei gruppi soggettivi maggiormente vulnerabili ed esposti ai rischi della combinazione di tecnica, potere, intolleranza. È il personalismo cui accennavo”.

Stiamo vivendo, in presa diretta, una terribile emergenza sanitaria: il Garante come affronterà il rapporto tra protezione dei dati e tutela della salute pubblica?
“La pandemia ha, tra l’altro, dimostrato la funzione sociale della protezione dati: diritto non tiranno perché duttile e capace di inattese sinergie anche con interessi collettivi primari, quali appunto la salute pubblica”.

In merito alla recente vicenda del “Bonus-Covid”, il Garante ha appena aperto un’istruttoria riferita alla metodologia seguita dall’Inps rispetto al trattamento dei dati dei beneficiari e alle notizie al riguardo diffuse…
“L’istruttoria – di una qualche complessità – è tuttora in corso: ne riferirò, tra l’altro, al Parlamento in sede di audizione dinanzi alla Commissione lavoro della Camera dei deputati”.

Il primo Garante, l’indimenticato Stefano Rodotà – un civilista – definì la privacy come “il diritto di mantenere il controllo sulle proprie informazioni (…) come una dimensione della libertà esistenziale, costitutiva non solo della sfera privata, ma pure di quella pubblica”. E per il privatista Stanzione?
“La privacy, oggi, è il diritto di costruire liberamente la propria persona, di scrivere la propria biografia, ma è anche il presupposto necessario della democrazia in una società sempre più “datificata””.

Una domanda tipicamente giornalistica: come fa Pasquale Stanzione a difendere la sua privacy?
“Coniugando fiducia, attenzione e responsabilità: prestando il mio consenso in maniera consapevole, non disperdendo in maniera irriflessa i miei dati in rete, ma anche credendo nelle potenzialità di una tecnica sapientemente guidata dal pensiero democratico”.

Ci lasci una riflessione riassuntiva…
“Sono all’inizio di un percorso in cui il Garante si misurerà con un orizzonte amplissimo: dall’intelligenza artificiale ai “neurodiritti”, dalla gig economy (modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo e non su prestazioni stabili econtinuative, nda) all’e-government. Affronteremo queste sfide con sguardo presbite ma contando su radici solide, per garantire che il progresso non smarrisca il suo senso più profondo: la tutela della persona e della sua dignità”

Fonte: Garante Privacy

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